la Storia

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ruderi castello longobardo di laurino2.jpgGià citato in un documento del XIV secolo con l'attuale denominazione, "In Campora", il toponimo rinvia al latino campus, nella duplice accezione di "luogo piano" e di "superficie agraria".

Per secoli la vita di Campora è stata legata soprattutto alla funzione di controllo che questo centro abitato poteva svolgere sull'importante via di transito che da Vallo della Lucania passava da queste terre per poi proseguire per il Vallo di Diano. Il territorio dove attualmente sorge Campora, come dimostrano i numerosi ritrovamenti che risalgono all’età Eneolitica –III millennio a.c.-, era abitato fin dalla preistoria. Furono, poi, gli abitanti dell’Antica Velia a costruire una torre fortificata per sorvegliare la strada diretta verso il Vallo di Diano. L´attuale centro abitato sorse comunque, solo dopo le incursioni saracene sulla costa all´incirca attorno al X secolo, quando le popolazioni in fuga si rifugiarono in un monastero basiliano dedicato a San Giorgio. Infatti a questo periodo risale l´origine del paese, come sta a dimostrare l´esistenza del Monastero di Sant´Angelo di Campora, fondato dai monaci basiliani (italo-greci) che vivevano in questa zona nel X secolo. Le prime notizie certe sul paese partono dal 1131 quando, da un documento, si evince che il re normanno Ruggiero II (*vedi nota) confermò ai padri basiliani di Grottaferrata il possesso della torre della Grancia di Sant'Arcangelo. Questo importante documento attesta anche che queste terre furono donate un secolo prima ai suddetti monaci da Guiscardo V, principe longobardo di Salerno.
Federico II nel suo atto del 1220 stabilì che gli abitanti di Campora, come quelli di numerosi borghi vicini, erano tenuti a partecipare alla manutenzione del castello di Laurino.
Nel 1269, Carlo I d’Angiò concesse Castrum campore a Mathe de Alena e successivamente a Simone Bois. Il 27 febbraio 1433 Americo di Sanseverino, conte di Capaccio ebbe tra i suoi feudi anche quello di Campora. Nel 1444 Salvatore de Senis fu investito da re Alfonso feudatario di Campora, insieme a Caselle, Casalnuovo ed altri. A costui successe Bindo e poi Alfano, al quale successe Porzia Tolomea de Senis che sposó D. Carlo de Guevara conte di Potenza.
Ma nel 1453 Campora fu venduto insieme ad altri feudi da re Alfonso ad ad Alfonso della Gonesse. Poiché quest'ultimo nel 1486, prese parte alla congiura ordita da Antonello de Petruciis, primo ministro di re Ferrante, il feudo passò a Carlo Carafa, marchese di Montesarchio che lo perse per tradimento. Nel 1469 fu concesso da Roberto Sanseverino al figlio G. Francesco. Nel 1527 Porzia Capano sposa Lionetto Mazzacane di Diano, tra i feudi dei Capano vi era anche quello di Campora.
Passato poi ai Sanseverino di Caiazzo, Campora seguì sotto il loro dominio le vicende del feudo di Albanella fino al 1532. In quest'anno diventò Signore di Campora Alfonso Avalos d’Aquino, marchese del Vasto.
Nel Seicento il feudo appartenne prima alla famiglia Troilo e poi a quella dei Macedonio.
Anche Campora fu colpita dalla peste del 1656, che decimò la popolazione a soli 120 abitanti.
Nel 1756 il titolo di marchese di Campora passò a Scipione Loffredo.
Alla fine del secolo e per tutto il Settecento feudatari di Campora furono Giovan Marco Bartolomeo, Scipione e Domenico Loffredo.
Dalla consultazione dell'Onciario, cioè del catasto del Regno di Napoli, emerge come il territorio camporese fosse suddiviso in tante minuscole proprietà di cui solo poche superavano i 5 tomoli. Le proprietà più consistenti, invece, erano nelle mani del barone Loffredo e degli enti ecclesiastici.
Anche per questa ragione, subì, tra Otto e Novecento, una consistente flessione del numero degli abitanti a causa di una perdurante crisi agraria.
Campora aderì alle rivolte patriottiche ed innalzò nel 1799 l'albero della Libertà, nel febbraio del 1821, a Campora, come nel resto del Cilento, i contadini occuparono le terre padronali e, nella Pasqua del 1823, la popolazione reagì violentemente al regime poliziesco dei Borboni, ed un fervente patriota, Giovanni Trotta, sindaco del paese, incitò i suoi paesani alla rivolta capeggiandola con molto coraggio.
Successivamente molti "oppositori" furono arrestati e portati nel carcere di Salerno.
La figura centrale, però, resta quella del sacerdote Vitantonio Feola, il cappuccino Giuseppe da Campora, che, indomito, lottò per il trionfo delle idee liberali, fu tra i maggiori agitatori dei moti del distretto di Vallo nel 1848 e tra i fondatori a Stio della Società Operaia di Mutuo Soccorso.
Ormai, soggetto scomodo venne fatto fucilare il 23 giugno del 1863 da Giuseppe Tardio, acclamato capo brigante di Piaggine, che non contento, lo fini con una sciabolata al cuore.
La popolazione subì un forte calo a cavallo fra Otto e Novecento: molti camporesi, infatti, a causa della crisi agraria furono costretti a emigrare.
Secondo la tradizione, i camporesi si dedicano ancora oggi all'agricoltura - in particolare alla coltivazione dell'ulivo - e in misura minore alla pastorizia.

Testo tratto da P. Ebner, Chiesa Baroni e Popolo nel Cilento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1982, con ns. integrazioni e Economia e societá nel Cilento medievale, di Ebner.

 

Nota:

Crisobollo di Ruggero II:
"Re Ruggero, stando nel suo palazzo di Palermo, concede a Leonzio, abate di S. Maria di Grottaferrata, che sì è presentato da lui per supplicarlo, la chiesa dì S. Maria di Rofrano, sita presso Policastro, con tutti i suoi diritti, grange e pertinenze, confermando alla suddetta chiesa le donazioni largite dal cugino Ruggero (Ruggero Borsa, duca di Puglia, Calabria e Sicilia nel 1085, morto nel 1111) e dal di lui figlio duca Guglielmo (duca di Puglia, morto nel 1127). Aggiunge, per precisare l'estensione del feudo, un dettagliato perimetro dei terreni appartenenti alla chiesa di Rofrano, nonché l'elenco delle nove grange e delle abitazioni civili di sua proprietà. Concede inoltre alla chiesa e al monastero il diritto d'asilo e la giurisdizione criminale”. (Dallo studio della Prof. Enrica Follieri pubblicato nel 1988 sul Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata).

ORGANIZZAZIONE DELLO SPAZIO E VICENDE DEL POPOLAMENTO

L´evoluzione graduale del nostro paese come ente autonomo ha richiesto anni di vita comunitaria e continui spazi per espandere l´attivitá produttiva. Come è stato ricordato, la prima notizia dell´esistenza della “terra della Campora” si trova nel diploma di re Ruggiero del 1131. Con questo documento il re conferma a Leonzio, Abate del Cenobio di Grottaferrata, la concessione delle terre che dipendevano dal monastero di Rofrano tra cui la “grancia S. Arcangeli quae est in territorio Camporae”. Il primo documento che testimonia la presenza di una struttura con valenza urbanistica nella nostra terra è da rintracciarsi nella concessione del 1262 fatta da re Carlo I del “castrum Camporae”  a Matteo de Alena (Registri della Cancelleria angioina, Accademia Pontaniana- 1950/1985, Napoli, Arte Tipografica di A. R., nr. 4, pag. 153). L´esistenza del cenobio di san Giorgio, di sicura fondazione italo-greca, consente di presumere con sufficiente certezza, come sostiene Ebner, che il villaggio sia sorto tra la fine del decimo e l´undicesimo secolo nel periodo di maggiore affluenza di questi monaci nella nostra zona. La grande diaspora di questi religiosi orientali avvenne per sfuggire alla diaspora iconoclasta dell´imperatore Leone Isaurico ed alle incursioni musulamane nell´Italia meridionale. Il monachesimo orientale, come tutti gli altri ordini monastici, ebbe tre fasi: 1) fase eremitica vissuta negli eremi, ovvero cavitá naturali o umili capanne in cui il monaco viveva in perfetta solitudine; 2) fase lauritica vissuta in comunitá di modeste capanne o grotte, raccolte intorno ad una chiesa; 3) fase cenobitica vissuta nel cenobio, luogo creato per la vita comunitaria ove i frati trascorrevano il tempo nella preghiera, nella meditazione e nel lavoro. La tipologia di questi cenobi è diversa dagli insediamenti monastici occidentali. Si tratta di modeste costruzioni costituite da qualche vano terranno per il deposito di derrate e alcuni ambienti, al piano superiore, per l´abitazione dei religiosi. Il precetto del lavoro manuale trasformava questi monaci in alacri dissodatori e coltivatori di terre boschive o improduttive, che, in seguito a miglioramenti, venivano guadagnate a forme di agricoltura superiore. Intorno a questo nucleo monastico si unirono anche le famiglie locali organizzandosi com’unitariamente intorno alla chiesa innalzata dai monaci. La presenza di famiglie, insediatesi da tempo nel territorio, è probabile se si considerano i toponimi Carmignano, Guarazzano, dove il suffisso -ano presuppone un prediale romano. Grazie alle capacitá attrattive del cenobio esercitate sugli elementi civili, il centro monastico offre l´incentivo alla formazione del nucleo abitato, che si sviluppa in un vero e proprio villaggio. L´aumento della popolazione comporta, di per sé, l'ampliamento della superficie agricola: si diffondono i seminativi e, nelle aree piú vocate, si impiantano la vite e l'ulivo, che richiedono una sia pure elementare sistemazione del terreno. In tali condizioni l'agricoltura proseguí fino al Settecento: le colture erbacee piú diffuse erano i cereali (frumento e orzo), qualche leguminose (fava e doligo), mentre le arboree erano rappresentate dalla vite e dall´ulivo anche se quest´ultimo scarsamente sviluppato. La lunga presenza dei monaci brasiliani, nella nostra contrada, si puó rinvenire non solo in certi usi e costumi orientali, incarnati in antiche tradizioni, che oggi stanno scomparendo, ma anche in alcune espressioni dialettali e tracce di rito greco ancora esistenti. A proposito dei costumi, per esempio: la consuetudine di portare da mangiare ai parenti che hanno in casa il morto; le donne pagate per piangerlo durante il funerale (le prefiche) il lutto stretto da tenersi per molto tempo dopo la morte del congiunto. Inoltre è sintomatico constatare che la chiesa parrocchiale sia stata dedicata alla Madonna (Santa Maria della Nativitá) culto preminente nella liturgia greco-bizantina. Inoltre si dedicarono altre due chiese a S. Nicola di Mira e S. Biase (extra terram unum milium) molto venerati dai monaci greci ed italo-greci. Resiste ancora la consuetudine di far portare nelle processioni a giovani donne le “cénte” offerte di cera disposte a forma di torre o di barca, tutte ornate di fiori, di frange e nastri. Dopo tanti secoli nel nostro dialetto si conservano moltissimi termini di lavoro e di vita quotidiana di origine greco-bizantina (Cfr. G. ALESSIO - L´elemento latino e quello greco nei dialetti del Cilento). Nel campo della toponomastica i termini: la Laura, Monasterio, sono sicuri indizi dell'esistenza di un centro cenobitico. Per quanto attiene altri esempi mi limito a riportare solo alcune voci attinenti l'economia domestica e l'attivitá agricola:

·  Katuoio (casa misera) ĸατωγαlος

· Campa (bruco della cavolaia) κάμπη

· Cuofino (cesto) κόφινος

· Kakkavo (caldaia usata dai pastori per la trasformazione del latte) κάκκαβος 

· Mandra (recinto dove il gregge pernotta d´estate) μάνδρα

· Váddano (castagna lessa) βάλανος

· Li vuoi (mettere i buoi al giogo) πάγιον

· Siéuro (terreno incolto) χέρσος

· Gnegnera (mente) γνώμη

· Sterpa (sterile, pecora o mucca che non produce latte) < στέριπο < στέριφος

· Sparaogna (asparago selvatico) < άσπαραγία

Testo tratto dal saggio "Ricerca storica sul Comune di Campora" di B. Casuccio e P. Feola

Per poter capire la storia di un paese bisogna inserirla in un contesto territoriale piú vasto, legato alle vicissitudini storiche del luogo. Ricordiamo che Campora nel periodo dei Cenobi Basiliani, dipendeva amministrativamente, come giuridicamente, da Rofrano ed é per questo che questo abbiamo inserito una parte del capitolo tratto dal libro di Domenicantonio Ronsini "Cenni storici del comune di Rofrano".

Cenobio dé Basiliani anteriore a´ Normanni.
Ruggero II primo Re di Sicilia con suo Diploma dato dal Real Palazzo di Palermo concede la Badia ed il Feudo di Rofrano ad un Leonzio abate Brasiliano, che a tal uopo si era recato in Palermo. La data è di Aprile Indizione IX che corrisponde , secodo il Muratori ed altri eruditi, all´anno 1131 e dell´anno del Mondo 6639. Ma con siffatto Diploma conferma al detto abate concessioni allo stesso fatte dal suo antecessore Guglielmo e prima da Ruggiero suo Cugino. Questo ultimo successe al Ducato di Puglia e Principato di Salerno a´27 luglio 1085 al padre Roberto, che tale l´aveva nominato nell´1081, e dichiarato suo successore a discapito di Boemondo. Dunque il Cenobio di Rofrano esisteva giá nella seconda metá del Secolo XI. Si vede poi agevolmente, che cotesti Normanni confecero che legalizzare e consolidare l´autoritá di tali Basiliani Toparchi sul Paese nato per opera loro. Ció risulta dal tenore del Diploma stesso, e ne risulta ancora, che la Badiale Chiesa di Rofrano era fiorente, e con giurisdizione amplissima sopra undici Grancie, e che fiorente era il feudo di Rofrano stesso, di cui descrive gli estesi confini. Or la condizione della Chiesa e del Feudo fanno argomentar la data del Paese: si sa, che i fedeli fondano, e dotano le chiese: il feudo è ordinariamente posteriore al Paese, e nel caso nostro il paese suppone anteriore l´esistenza del Cenobio. Dunque bisogna indietreggiare la fondazione del Cenobio almeno nell´antecedente Secolo X. E ce ne porge ragione un altro plausibile Documento.

Nilo nato in Russano nel 906 dalla mobilissima famiglia Malena volgendo le spalle al secolo si ascrisse all'ordine di San Basilico: fuggí dalla patria perché que´cittadini spettatori delle sue virtú volevano a viva forza toglierselo a Vescovo. Per non farsi conoscere, pellegrinando entrava nei luoghi abitati con una pelle di volpe avvolta al capo, e la tonaca sospesa al bastone onde i monelli gli correan dietro gridando: Heus Bulgare calogere! Fu tra noi in questa contrada, ed ebbe stanza in Grotta Gloriosa nel Cenobio dei Benedettini detto di S. Mercurio, e vi fabbricó un Romitaggio, et ibi cellulam in rape praecelsa delegit. Abitó pure nell´altro Cenobio di Benedettini in S. Nazario. Indi fu trionfalmente accolto in Montecasino, dove riformó i monaci di quel celebre Monastero, trattenne 15 anni tra Benedettini di Casaluce. Era in Roma nel 997, quando Gregorio V privó degli occhi, degli orecchi, del naso, e menó a strapazzo per Roma l'Antipapa Giovanni Rilegato giá Vescovo di Piacenza, e grande intrigante, poiché allora, come riferisce Cantú , egli operó i suoi buoni uffizii a pro di quello sciagurato, benché invano, e peró predisse l'ira di Dio al Papa, che in fatti morí ben presto. Egli fu il fondatore della celebre Badia di Grotta Ferrata in Frascati, presso l´antico Muscolo, 15 miglia distante da Roma. Chiuse i suoi giorni in paterno di Campagna nel 1002. Di passaggio qui rifletto. Se fiorí nel secolo X, è palpabile l´anacronismo do coloro che lo confondono coll´altro S. Nilo, che prima prefetto di Costantinopoli, poi Monaco ed Abate fu discepolo di S. Giovanni Crisostomi, e fiorí sotto Teodosio il giovane circa l´anno 440.

Or dalla vita di S. Nilo si rileva che fabbricó un romitorio in Rocca Gloriosa e fondó la celebre Badia di Grotta Ferrata in Frascati. Inoltre dal Diploma di Ruggero si rileva come ho accennato, che amplissima era la giurisdizione del rofranese Abate: si estendeva sopra undici Grancie descritte nel modo seguente.

1. Grancia di S. Maria de Vita nel territorio di Laurino

2. Di S. Zaccaria nel territorio di Diano (Il territorio ora appartiene a Sassano che una volta si considerava come casale di Diano, essendo soggetti alla stessa Giurisdizione)

3. Di S. Pietro di Tomusso nel territorio di Montesano

4. Di S. Arcangelo nel territorio di Campora

5. Di S. Matteo nel territorio di Policastro

6. Di S. Pietro nel territorio di Rivello

7. Di S. Nicola De Saracusa nel territorio del villaggio chiamato Didascalia (Si noti che Scalea o Didascalia era cittá Vescovile distrutta da´ Saraceni nel 931: venne da Alfano Arcivescovo di Salerno aggregata a Policastro, onde a tempi di Ruggero era un semplice villaggio)

8. Di S. Nicola di Benevento nella cittá di Salerno.

9. Tutte le case, che sono in Salerno stesso a Portanuova. La contrada ritiene ora la stessa denominazione.

10. La casa di Salerno alla Giudaica. Era dov´è ora la Parrocchia di S. Lucia,  perció detta S. Lucia in Giudaica.

11. La Grancia di S. Maria di Siripi nel territorio di Sansa. La contrada ritiene l´antico nome.
Si rileva in secondo luogo che il Romitorio di Rocca non avea relazione colla Badia di Rofrano, perché non compreso nella lista delle Dipendenze o pertinenze del medesimo. Lo stesso dicasi della grande ed antica Badia Basiliana, ch´era in Pattano, dell´altra antica Badia, ch´era in Camerota, e dell'antichissima, ch´era in S. Giovanni a Piro, dov'è sepolto il celebre letterato Teodoro Gaza di Tessalonica, che vi fu Vicario del Commendatorio Abate Cardinal Bessarione.

Si rileva in terzo luogo, che le undici Grancie erano annesse a Rofrano, non a Frascati; il Feudo apparteneva al Preside della Chiesa di Rofrano, il dritto d´asilo, e gli altri privilegii al Cenobio di Rofrano. Frascati non v´è neppur nominato, perché fuori del Reame e della Giurisdizione di Ruggiero. Forse Leonzio era Abate di Rofrano, perché nella seria degli Abati di Frascati non trovasi un omonimo sincrono di Ruggiero, come mi assicura il celebre D. Giuseppe Cozza Basiliano di Grotta Ferrara editore del Codice Biblico Vaticano. Penso che la Badia di Rofrano prima indipendente fu poi assoggettata a quella di Frascati. Costa in fine che la Chiesa di Rofrano, ed il suo Abate hanno sempre avuto lo stesso titolo di Grotta Ferrata.

Quindi naturalmente sorgono i seguenti dubbii. S. Nilo fondó egli il nostro Cenobio, allorché fu in queste contrade, o lo trovó giá fondato? La Badia di Rofrano ebbe il titolo di Grotta Ferrata da quella di Frascati, o viceversa?

A me pare che lo trovó giá fondato: primo perché il greco Biografo di S. Nilo, che narra le altre fondazioni, tace di questa,  secondo perché altrimenti la nostra Badia nel breve spazio di una ottantina di anni (quanti ne corron da S. Nilo al Duca Ruggiero) non poteva giunger al grado di grandezza, che descrivesi nel Diploma. Quindi parmi ancora, ch´essendo posteriore la fondazione di Frascati poté solo ricevere non giá dare il titolo di Grottaferrata. La fondazione Apostolica, o i Martiri rendevano insigne una Chiesa né primitivi tempi; ma nel medio evo, quando la devozione delle Reliquie, poggiata per altro sull'antica tradizione Ecclesiastica, arrivó sino alla smania, eran le Reliquie che distinguevano una Chiesa. Nella nostra Badiale son depositate le reliquie di due martiri, il nome è registrato nel libro della vita. Son quasi intieri: due teschi, ossa brachiali, crurali, costole, capelli, sangue. Riposavano in una Cripta con ferriata innanzi, e sulla Cripta era l´altare secondo il modello dell´Apocalisse. Da questa Cripta puó ripetersi il titolo di Grottaferrata senz´andare a cercarlo nella lontana Frascati. Cosí dallo Speco di S. Benedetto ebbe il nome la Chiesa del sacro Speco. Se mi oppongo, sia d´altri il giudizio; ma qualunque questo sia, risulta che se la fondazione fu di S. Nilo, quella di Rofrano nuovo rimonta al X secolo, se fu anteriore, bisogna indietreggiare ancora…

In Rofrano Vetere esistono i ruderi di un Monastero, che è ricordato ancora nella vita di S. Elena, o Eliena di Laurino.

Secondo la leggenda del suo Uffizio visse in una Grotta sopra Rofrano Vetere: il Pio Abate di quel Cenobio offriva qualche cibo alla parca mensa dell´austera Anacoreta che lo retribuiva cucendo o rattoppando le tonache de´Monaci nell´ore che risecava alle sue sante occupazioni. Morí in quella Grotta or convertita in Oratorio sacro al suo nome. Il corpo fu deposto nella Chiesa di Laurino sua patria, e dopo varie vicende traslatato in Auxerre…

La traslazione delle reliquie secondo il Volpi (Cronologia dei Vescovi pestani p. 234) avvenne circa l´anno 534. Or sottratti gli anni necessarii allo sviluppo delle molte vicende accennate nella leggenda, e sottratti gli anni, che la Santa passó presso quel Cenobio di Rofrano Vetere esisteva giá prima del 480, in cui nacque S. Benedetto. Dunque il Cenobio non era di Benedettini, la culla de´ quali fu Montecasino fondato nel 529, ma sebbene di Basiliani, che dall´Oriente ben presto si diffusero in queste Meridionali Provincie allor soggette al Greco Imperatore.

Anzi il Baronio delle note al Martirologio R. scrive che S. Elena fiorì ai tempi di Teodosio il Grande e di Onorio 379 a 423.

Ho qui contraria la leggenda dell'uffizio, e molti valenti scrittori di Laurino, tra i quali Niccoló Politi, che attribuiscono a´Benedettini quel Cenobio. Non amo di cozzare se non come i flutti, che ricadono congiunti. Mabillon nella Prefazione agli annali Benedetti assicura “che sino a S. Benedetto, nel secolo VI, spesso ad arbitrio del superiore si adottava una nuova Regola, e spesso nello stesso Cenobio erano in vigore piú Regole, e si aggiungeva, e toglieva ció che richiedevano le diverse circostanze di tempo, e di luogo. Quindi era facile, e promiscuo il passaggio da un Cenobio all´altro  non solo dè Latini fra loro, ma anche tra Latini e Greci”. Anzi mi pare che il costume vigeva anche dopo S. Benedetto; altrimenti non puó spiegarsi quel che narra lo stesso Mabillon, cioè che verso l´anno 720 in Montecasino officium faciebant Greci, et Latini, cioè Basiliani e Benedettini. E neppure puó spiegarsi la dimora di S. Nilo Basiliano tra Benedettini di Rocca Gloriosa, di S. Nazario, di Montecasino, e di Casaluce. Puó dunque dirsi, che i Cenobiti di Rofrano Vetere erano Basiliani in origine, ma all´apparir del celebre S. Benedetto o ne adottaron qualche tempo la Regola, o l´uniron all'altra di S. Basilio. O se assolutamente si vogliono Benedettini di origine, potrá dirsi, che un maggior numero di Basiliani lor si soprappose nel Cenobio. Sappiamo, che nel 980 sessanta Basiliani da Calabria fuggiti colla scimitarra de´Saraceni alle spalle occuparono il Benedettino Cenobio di Casaluce, e lo resero rifugio a Benedettini di piú austera disciplina. Sappiamo, che nel 762, dopo i decreti dell´Iconoclasta Conciliabolo di Herea (Lebean Storia del Basso Impero) i Basiliani ripararono a Roma in si gran numero, che il Papa Paolo fece della sua paterna un monastero, ed ordinó che l'officiatura si facesse quivi in Greco. Adunque senza moltiplicar Cenobii, puó senza grave ostacolo ammettersi che i medesimi Basiliani di Rofrano Vetere migrarono col popolo nel Nuovo, spinti da motivi, che non si sanno con precisione, ma che spinsero tanti altri abitanti di luoghi piani, come Rofrano Vetere, a ridursi in Rocce per arte o per natura inaccessibili, qual'è Rofrano Nuovo. Nei secoli VII, VIII, e IX, in cui cader dovrebbe la migrazione, i Paesi della Lucania furono schermo infelice de´Greci, de´Longobardi, e de´Saraceni: presi or dagli uni, or d´agli altri, per sottrarsi al ferro nemico cercavano asilo, come le aquile sulle creste de´monti, ed in luoghi inaccessibili. Ma non sappiamo determinar l'anno con precisione: l'orma del sandalo impresse sul nostro suolo dai Basiliani furon cancellate dal tempo: e si avvera qui pur una volta, che un mistero avvolge come la generazione, cosí tutte le origini.